Convegno “Autismo ed educazione: il ruolo della scuola” Bologna
Relazione sul Convegno “Autismo ed educazione: il ruolo della scuola” Bologna (18 novembre 2005)
Il 18 novembre 2005 si è tenuto a Bologna il convegno internazionale “Autismo ed educazione: il ruolo della scuola” organizzato dalla Fondazione Augusta Pini e Ospizi Marini Onlus e da ANGSA Emilia Romagna.
Grazie alla piena collaborazione dell’Ufficio Scolastico Regionale la partecipazione degli insegnanti è stata altissima, tanto che le domande provenienti dalle scuole hanno più che superato il doppio della capienza dell’aula, contenente 450 persone. In molte scuole d’Italia sono state allestite sale per la visione del convegno via Internet.
La peculiarità del Convegno era quella di essere rivolto specificamente alla scuola, in particolare ai dirigenti scolastici o ai loro diretti rappresentanti. Al presente l’educazione personalizzata è il trattamento d’elezione dell’autismo, in grado di dare abilità utili nella vita quotidiana e di diminuire i comportamenti problema. Riteniamo che sia essenziale la collaborazione scuola-sanità. Per questo abbiamo dato ampio spazio a relazioni tenute da medici, come Antonia Parmeggiani, Paola Visconti e Stefano Palazzi, che hanno illustrato l’essenza, la gravità e la complessità dell’autismo.
Riteniamo tuttavia che gli insegnanti debbano recuperare quel saper fare in tema di educazione speciale che è stato un po’ perduto con l’avvento dell’integrazione e che debbano avere una loro autonomia nell’impostazione dei programmi educativi, pur agendo in rete con gli operatori sanitari. Il convegno è stato l’occasione per fare il punto della situazione sulla educazione che si dovrebbe dare alla luce delle conoscenze attuali e su ciò che in realtà si fa nelle scuole italiane.
Vi sono certamente isole felici di buone prassi e di ottima collaborazione tra scuola e sanità, così come è emerso dagli esempi riportati da Paola Visconti, ma questi esempi sono isole in un mare di prassi non ottimali e non al passo coi tempi. La fotografia della gestione dei bambini autistici nella grande maggioranza delle scuole italiane è molto lontana da quanto oggi si dovrebbe fare alla luce delle attuali conoscenze.
Il quadro della situazione media attuale, delineato con molta lucidità da Enrico Micheli, è il seguente.
Si parte dal presupposto che uno degli obiettivi educativi per ogni disabile sia adattare al bambino il programma scolastico. Questo può essere un valido obiettivo solo nel caso che un’accurata valutazione lo abbia dimostrato. In molti casi l’età mentale è lontana da quella anagrafica e costringere i bambini a stare fermi in classe a seguire le normali lezioni curricolari non risponde al loro fabbisogno educativo e, mettendoli a disagio, può innescare comportamenti problema. I bambini autistici hanno bisogno di tempi, spazi e personale adatti al loro livello. Sono necessari spazi e personale per un accurato e utile lavoro individuale che tuteli la specificità del programma da svolgere.
Bisogna prevedere piccoli gruppi strutturati di bambini che realizzino una sorta di “integrazione inversa” in cui bambini normodotati, motivati, informati e formati, facciano attività a misura del disabile, insegnandogli a giocare, a comunicare, a interagire, con la stessa logica per la quale chi sa correre forte puo’ adattarsi al passo lento di chi non ne è capace, ma non viceversa.
Ci devono essere momenti, ben studiati a seconda delle attività e del livello di stimolazione che il bambino puo’ tollerare, durante i quali il bambino sta in classe con tutti gli altri compagni.
Fino ad ora la scarsa competenza e l’inadeguata programmazione hanno portato alla solitudine del bambino e dell’insegnante di sostegno. La situazione del bambino che fa un compito differenziato con l’insegnante di sostegno che gli bisbiglia nell’orecchio, mentre l’insegnante di classe parla di cose per lui incomprensibili, è esattamente il contrario di quanto la conoscenza scientifica ci consiglia di fare.
Il bambino autistico è estremamente distraibile e può apprendere in un ambiente silenzioso e spoglio, in cui il materiale di cui necessita gli sia vicino, per evitare che lo spostamento anche solo di un metro lo distragga e impedisca la continuità dell’applicazione, che puo’ durare in alcuni casi soltanto pochi minuti.
La situazione sopra descritta è pertanto nociva e, oltre a non permettere gli apprendimenti, favorisce i comportamenti problema. Se pensiamo alle difficoltà tipiche della triade che definisce l’autismo (difficoltà di interazione sociale ; difficoltà di comunicazione; rigidità e ristrettezza degli interessi) comprendiamo che la socializzazione non può essere il mezzo per la crescita, ma bensì uno dei principali traguardi da raggiungere per piccoli passi, faticosamente e, purtroppo, parzialmente.
La socializzazione deve essere uno dei campi principali di insegnamento, di training di abilità anche minime, ma difficilissime anche per gli autistici più dotati. E allora l’integrazione sarà una meta da raggiungere passo passo esercitando quei prerequisiti per l’ interazione sociale, che nei normodotati sono già abbondantemente presenti nei primi anni di vita, ma che negli autistici sono carenti anche in età adulta.
Per prerequisiti dell’interazione sociale si intendono il guardare negli occhi, il rispettare i turni nella conversazione, il mantenere una distanza giusta dalle altre persone, il non ripetere all’infinito la stessa frase e così via.
Non è ammissibile che chi ha il compito istituzionale di insegnare a bambini disabili non conosca queste cose e continui a pensare che il bambino non voglia comunicare e interagire, e non sappia che in realtà il bambino è incapace di comunicare e di interagire.
Un insegnante informato e formato approfitterà della presenza di tanti bambini normodotati per avvicinarsi a piccoli passi verso un’integrazione vera, che non è l’immissione di un bambino, incapace di interazione e ipersensibile al rumore, in un gruppo classe rumoroso e dai comportamenti imprevedibili e incomprensibili. L’inserimento selvaggio favorisce i comportamenti problema e questi portano inesorabilmente alla fine dell’inserimento. Sappiamo infatti che alcuni alunni autistici passano le ore di scuola nei corridoi, nell’antibagno o negli sgabuzzini delle scope oppure vengono ammessi soltanto per un orario limitato.
La scienza, che non può essere ignorata nel luogo istituzionale dove il bambino deve essere educato, ci dice che:
- deve essere compiuta una valutazione precisa e accurata delle abilità sociali;
- va programmato un trainig specifico per l’apprendimento delle stesse organizzando spazi, tempi, materiali e compiti;
- alcuni bambini normodatati, motivati, informati e formati, devono fare da modello in piccoli gruppi per semplici attività sociali.
La socialità è una cosa complicatissima; le regole non scritte sono infinite e chi ha i recettori sociali non si rende conto di questa complessità e di come i disabili della relazione siano lontanissimi dalla loro comprensione.
Per questo deve essere attuato un vero curriculum per l’integrazione, meta lontana da conquistare con esercizi via via più complessi, con l’aiuto di personale esperto e di bambini normodotati che avranno un’opportunità di formazione entusiasmante se correttamente guidata da esperti.
Cosa non si può più accettare
- Un sistema di individuazione del problema, valutazione, programmazione troppo lungo.
- I bambini vanno quasi tutti alla materna e l’arrivo alla scuola primaria deve essere preceduto da una preparazione che inizi l’anno prima e che veda tutto pronto il primo giorno di scuola: personale esperto, spazi, programma e organizzazione.
- Non è accettabile un insegnante che dice “Non so cosa fare”. L’educatore speciale deve essere valorizzato da tutti i punti di vista, compresi quelli contrattuali ed economici.
- Non è ammissibile che si sottoponga il bambino con autismo a situazioni stressanti e dolorose come l’eccesso di rumore o la partecipazione a situazioni sociali che non sa gestire e comprendere.
- Non è ammissibile che la scuola, che in Italia si fa teoricamente carico dell’educazione anche dei disabili, proponga orari ridotti per chi ha più bisogno di educazione, scaricando il peso sui genitori.
- Affidare bambini con problemi così complessi, per i quali la scienza dell’educazione speciale ha fatto tanti progressi, a persone che si dichiarano incompetenti è una omissione di soccorso al bisogno specifico di cittadini che hanno il diritto inalienabile all’educazione, ed è uno spreco anche economico.
Cosa fare
- Dare al diritto all’educazione nella scuola di tutti concrete possibilità di affermarsi, con una organizzazione delle risorse in grado di mettere in pratica gli obiettivi concreti che ne derivano.
Idee per cambiare
- Previsione dei bambini con disturbi dello spettro autistico che entreranno a scuola con congruo anticipo;
- Organizzazione di un pool di insegnanti specializzati con attenzione all’esperienza speciale;
- Organizzazione di un luogo attrezzato nella scuola;
- Programmazione dinamica e individuale dei tempi di attività in comune con altri bambini;
- Collaborazione con le Associazioni di genitori presenti sul territorio e in particolare con quelle cui sono affiliati i genitori degli allievi della scuola.
E la scuola dovrebbe avere un occhio anche al futuro e un esempio di buona prassi in tal senso ci è venuto dalla relazione di Kerry Hogan della Division TEACCH della Carolina del Nord. La Hogan ci ha mostrato come, con lo stesso approccio educativo che si usa per i bambini nella scuola, si possono insegnare abilità utili per l’inserimento in un lavoro vero, come una cucina, un magazzino o un ufficio e ci ha mostrato fotografie non più di bambini in classe, ma di adulti in ambienti lavorativi.
Ci ha poi simpaticamente ricordato che il primo luogo in cui i loro autistici sono stati inseriti nel lavoro è stato la mensa universitaria, luogo privilegiato per persone che hanno generalmente un ottimo appetito.
Ricordiamo che è ancora attivo il sito del convegno www.autismoededucazione.org dove si possono ascoltare tutte le relazioni e dove ci sono diapositive ed altro materiale scaricabile.
Il convegno è ancora visibile e ascoltabile integralmente al sito tv.unimore.it dell’Università di Modena e Reggio, che si ringrazia per la collaborazione
- L’approccio all’autismo secondo il modello TEACCH Dott. Eric Schopler fondatore e condirettore Division TEACCH, Università di Chapell Hill, North Carolina, USA
- Diapositive presentate dal Dott. Stefano Palazzi neuropsichiatra infantile ed epidemiologo, Maudsley Hospital, Londra Epidemiologia dell’autismo in età post-scolare: realtà a confronto
- Diapositive presentate dalla Dott.ssa Paola Visconti neuropsichiatra infantile, Ambulatorio Autismo, Ospedale Maggiore, Ausl Città di Bologna Osservazione e progetto terapeutico
- Integrazione e educazione: due diritti in contrasto? Dott. Enrico Micheli dirigente psicologo, AUSL di Agordo Il fabbisogno educativo dei soggetti autistici e il ruolo della scuola
- I MEDIATORI Dott. Andrea Canevaro docente di Pedagogia Speciale, Università di Bologna Dopo 30 anni di integrazione
- Sono inoltre disponibili i seguenti Links:
- tv.unimore.it tutto il Convegno del 18 novembre 2005, montato in video/audio dai tecnici dell’Università di Modena e Reggio, visibile gratuitamente;
- www.autismoededucazione.org per consulenze.
- INFORMAZIONI FONDAMENTALI a cura di ANGSA Emilia-Romagna
Inoltre ANGSA Emilia-Romagna e Fondazione Augusta Pini Ospizi Marini Onlus hanno attivato una lista di discussione denominata autismo-scuola con i seguenti principali obiettivi:
- mettere in collegamento genitori e operatori che debbono risolvere quotidianamente problemi connessi all’educazione di un soggetto autistico;
- veicolare risultati e dati provenienti dalla ricerca scientifica nazionale e internazionale;
- creare collegamenti, che non sempre esistono, fra scuola, famiglie e strutture sanitarie;
- promuovere una migliore conoscenza del TEACCH (Treatment and Education of Autistic and Communication Handicapped Children).